IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI
Potature errate, danni alle cortecce e ai rami, utilizzo improprio: in tante forme diverse l’uomo agisce negativamente sul corretto sviluppo degli alberi, silenziosi e indispensabili compagni della nostra vita nei giardini, nelle città e nei boschi.
E’ pratica diffusa considerare gli alberi, e più in generale i vegetali, soggetti inanimati sui quali chiunque ha la facoltà, derivante dal titolo di proprietà o di possesso, d’intervenire. In tal modo schiere di potatori improvvisati tagliano scriteriatamente, navigati tecnici comunali progettano scavi per condutture a ridosso degli apparati radicali, “tuttologi” trattano e concimano a prescindere dalle reali esigenze della pianta, sedicenti progettisti collocano cedri, querce, tigli e platani a quattro metri da casa condannandoli, una volta raggiunte le dimensioni finali, a disastrose potature. I vegetali, a differenza degli animali, non hanno, per lo più, capacità di movimento né, tantomeno, capacità di emettere suoni articolati altrimenti vedremmo schiere di alberi fuggire da qualcosa o correre dietro qualcuno, come lo shakespiriano bosco di Birnam che, agli occhi di Macbeth, avanzava verso Dunsinane.
Tra i danni cui sono frequentemente soggetti gli alberi annoveriamo le maldestre potature, i danni da calpestio, gli urti delle auto che parcheggiano o delle macchine per lo sfalcio del prato, i danni da affissione di cartelli e altro, le strozzature provocate da cavi o tiranti, l’improprio uso dell’albero quale supporto o struttura portante. Esaminiamo dunque come la pianta reagisce a questi danni e quali sono le corrette cure.
Limitare e rimediare: le difese naturali degli alberi. I vegetali, nel corso del tempo, hanno selezionato meccanismi tali da rispondere convenientemente alle offese esteme onde limitare e rimediare, entro certi limiti, ai danni o alle malattie. Per limitare i danni (ferite, tagli, ecc..) gli alberi attuano ciò che viene detto, in gergo tecnico, “compartimentazione”: come un sommergibile che, con la chiusura dei portelloni stagni, confina la falla ed evita che l’acqua invada lo scafo, allo stesso modo l’albero cerca di isolare la parte danneggiata. Per rimediare ai danni, invece, l’albero cerca di ricostruire la parte mancante, indipendentemente dal fatto che la “compartimentazione” abbia avuto buon fine. La ricostruzione vegetale avviene attraverso l’emissione di genune formatesi lì per lì o per la schiusura di vecchie gemme, la cui attivazione era latente (qualora il danno abbia eliminato rami o branche, o parti di esse), e l’attivazione del cambio mediante il quale il vegetale tenta di rimediare agli indebolimenti strutturali.
La compartimentazione. A differenza degli animali, gli alberi sono incapaci di sostituire, nella stessa posizione, cellule morte. L’albero cerca di contenere il danno attivando barriere tali da isolare il legno danneggiato ed evitare altri possibili danni al legno sano. Un primo gruppo di barriere sono già presenti nella struttura vegetale ed in caso di pericolo vengono rafforzate mediante sostanze polifenoliche, tra cui i tannini. Questa è la cosiddetta zona di reazione e corrisponde ad una sorta di intervento rapido volto a creare una prima difesa dall’aggressione esterna. Una seconda barriera viene costituita solo dopo il danno, ad opera di cellule prodotte in prossimità del danno stesso. Viene definita “zona di barriera” e, pur essendo molto efficace e quindi in grado di creare una separazione dall’area malata, non è molto flessibile e ciò comporta una debolezza strutturale che può portare alla formazione di fratture inteme al legno (i cosiddetti crack).
La capacità di compartimentazione varia da specie a specie e anche soggettivamente, in base al patrimonio genetico di ogni singolo albero. Anche lo stato di salute generale di una pianta incide sulla sua velocità e capacità di reazione. Più una pianta è debilitata e minori saranno le sue capacità di reazione a danni o malattie. Ecco quindi l’importanza di porre una pianta nel luogo adatto, valutando clima, terreno, esposizione e con particolare attenzione allo spazio disponibile (il cosiddetto sesto d’impianto).
Quando una porzione di pianta o di radice viene in qualche modo danneggiata od asportata, la pianta cerca dunque di sostituirla producendo una nuova porzione. L’esempio calzante è dato dalla perdita di un ramo. In breve tempo, nella zona della pianta interessata dall’evento, si avrà la formazione o l’attivazione di gemme che cercheranno di ripristinare il ramo venuto meno. Questi, per sommi capi, sono i meccanismi che una pianta mette a punto per cercare di contenere il danno e per porvi rimedio. Vediamo ora i maggiori danni cui vanno soggette le piante.
1. Platano sottoposto ad una scorretta potatura di contenimento. Notare i grossi tagli cui sono stati sottoposti il fusto, le branche e i rami principali che lo rendono simile più ad un attaccapanni che non ad un albero.
4. Drastica e dissennata potatura di un albero di Giuda il quale, avendo gemme da fiore direttamente su rami e tronco, assume un aspetto a dir poco grottesco.
7. Compartimentazione riuscita in un ramo di tiglio. Notare come la ferita, in alto a destra nella sezione, dovuta ad asportazione di un ramo, sia stata chiusa dalle barriere vegetali.
8. Sezione di tronco ove risulta ben evidente una estesa carie che interessa buona parte del tronce stesso. In questo caso le difese messe in atto dalla pianta non sono riuscite ad isolare la degenerazione dei tessuti.
9. Dalla ferita prodotta dal taglio di un grosso ramo emergono funghi xilofagi che sono indice di un processo degenerativo in corso a carico dei tessuti vegetali di questo vecchio bagolaro.
10. Ferita da urto sul tronco di un frassino. Notare la reazione della pianta ed il mastice dato a protezione della ferita stessa. In alcuni punti il mastice si è distaccato venendo, in tal modo, a ridurre il coefficiente di protezione.
Le potature. Uno dei maggiori agenti di danno per i vegetali è rappresentato dall’uomo il quale con potature irrazionali, approssimate e spesso vandalistiche indebolisce le piante, accentuandone la suscettibilità alle malattie e compromettendone l’armonia. E’ triste vedere a tutt’oggi che la maggior parte dei potatori ha una conoscenza approssimativa della biologia vegetale e che una lunga serie di “false” verità fanno da presupposto teorico agli interventi. Frequentemente, lungo le strade come nei giardini privati, si vedono alberi ridotti a pali della luce o, nel migliore dei casi, ad attaccapanni. Si tratta per lo più di capitozzature, cioè tagli orizzontali che abbassano l’altezza del tronco. In questi casi, così come nei casi di drastiche potature a carico delle branche, la pianta reagisce emettendo in prossimità della zona di taglio un elevato numero di getti che, inseriti nel tronco superficialmente e senza una logica strutturale, rappresentano una reazione estrema ad una situazione estrema, e daranno vita a rami per lo più male inseriti e tali da non dare affidabilità statica. Con ciò non si vuoi dire che un albero non debba essere assolutamente potato ma piuttosto che esso va potato solo se necessario e con metodo. Infatti un conto è avere a che fare con alberi lasciati crescere liberamente in vaste aree naturali o all’intemo di un parco; altro caso sono le alberature presenti in piccoli e medi giardini o nella parte frequentata o “nobile” di un grande giardino. In questi casi la pianta omamentale assolve a precise funzioni estetiche e di essa occorre curame la bellezza e la qualità. Una pianta in giardino va mantenuta sana: il che, però, non vuole necessariamente dire potarla tutti gli anni e sottoporla a continui trattamenti e concimazioni. Occorre agire con misura, secondo le reali esigenze e non in base a scadenze prefissate “a tavolino”. Per entrare nel merito del discorso, le potature possono venire distinte in due grossi gruppi metodologici ai quali corrispondono due risultati estetici ben precisi: la potatura libera e quella formale.
La potatura formale, come indica chiaramente il termine, ha la funzione di imprimere ai vegetali una determinata forma. La corrente “naturalistica” dell’arte dei giardini, oggi in gran voga, depreca un tale tipo di operazione, peraltro tipica del giardino all’italiana. Tuttavia in questi ultimi anni si sta assistendo ad un recupero dello stile formale, attuabile peraltro solo su specie capaci di dare un’ottima risposta ai tagli. E’ il caso, tanto per citarne alcuni, di tasso, carpino, tiglio, platano, faggio, acero campestre, ligustro, alloro, leccio, lauroceraso, leilandi, viburno tino, magnolia, eleagno, berberis (sia B. julianae che B. thumbergi), piracanta, forsizia, sarcococca (S. hoockeriana e S. ruscifolia), ibisco, biancospino, ponciro, agrifoglio, bambù, lavanda, santolina…
La potatura libera, a differeza di quella formale, tende intervenire lasciando immutata la forma naturale della pianta ma mirando a mantenere anche un bell’aspetto, che conservi la belezza intrinseca tipica di quella specie o varietà.
Purtroppo nella pratica quotidiana la maggior parte dei potatori tende a stravolgere il normal portamento degli alberi per dar loro una forma globosa, conica piramidale. Accade così che ne giardini o nei viali non si ha più la percezione del portamento naturale delle varie specie. Illuminante, a questo proposito. un episodio di cui fummo spettatori. Un’antiquaria che voleva ripristinare il suo giardino liberty, nel corso del sopralluogo ci illustrò, uno ad uno, gli alberi del suo giardino. Giunti di fronte ad un esemplare di Brussonetia papyfera(gelso da carta) ci disse che era l’unico albero che non la soddisfaceva perché aveva perso la sua forma naturale. Con nostro sbigottimento le facemmo notare che quello era l’unico albero non alterato, nel portamento, dalle potature. La potatura formale e la potatura libera prevedono tipi di taglio diversi, in relazione al momento della vita della pianta: esarniniamoli caso per caso.
Potatura di allevamento (o di formazione). Va eseguita nella fase giovanile della pianta. Serve a dare una conformazione equilibrata all’albero, eliminando rami codominanti o male inseriti e correggendo eventuali difetti di forma. Non sono molti i vivaisti ad attuare questa tecnica nella fase di allevamento in vivaio per cui, spesso, è opportuno eseguire i dovuti interventi dopo che si èacquistata la pianta. Quando si effettua l’acquisto dal vivaista sarebbe bene essere supportati da un professionista esperto che sappia vedere gli esemplari meglio formati che richiederanno pochi o nessun intervento di potatura di allevamento.
Quest’ultima deve essere abbastanza leggera in quanto, oltre a mantenere inalterato il modello di sviluppo naturale, non deve limitare le capacità di crescita della pianta. Un taglio drastico ridurrebbe notevolmente la superficie fogliare complessiva andando ad influire sulla quantità di energia spendibile per l’accrescimento. Inoltre, una riduzione della chioma si riflette in una diminuzione dello sviluppo complessivo delle radici, il che si traduce in una minore capacità di approvvigionamento di sali e acqua e quindi minor accrescimento.
Potatura d’impianto, da eseguirsi nel momento della messa a dimora delle piante, soprattutto se queste sono di grosse dimensioni ed hanno un’apparato aereo ben sviluppato. Tale potatura ha la funzione di ridurre l’apparato fogliare al fine di riequilibrare il rapporto tra radici e foglie. Infatti col trapianto buona parte del capillizio radicale (responsabile dell’assorbimento della linfa grezza) subisce una drastica riduzione per cui, nei mesi estivi, la pianta, per traspirazione, può perdere più acqua di quanto non ne riesca ad assorbire. A causa di ciò va incontro a quello che viene definito “stress da trapianto”. Una riduzione della chioma, con tagli di diradamento e raccorciamento, riduce lo scom-penso tra apparato radicale assorbente ed apparato fogliare evapotraspirante.
Potatura di mantenimento, pratica colturale da eseguirsi su piante adulte, o comunque già formate. Ha la funzione di man-tenere una forma equilibrata, di eliminare eventuali rami codominanti, di rimondare i seccumi, di effettuare leggeri tagli di rac-corciamento per tenerne sotto controllo lo sviluppo (per esempio in prossimità di strade pubbliche, proprietà confinanti, ecc…). In generale il contenimento della chioma, a parte i casi sopraindicati, non dovrebbe essere necessario qualora esista un’ opportuna scelta delle essenze in funzione degli spazi disponibili. Tuttavia spesso accade che gli alberi, acquistati giovani, vengano piantati troppo fitti o troppo vicini ai fabbricati in quanto non si tiene conto, nelle dovute proporzioni, dello sviluppo finale. Nel caso di vicinanza ad edifici, occorre considerare anche la vigoria degli apparati radicali, che col passare del tempo potrebbero causare danni di un certo rilievo alle strutture murarie se non collocati a distanza opportuna.
Potatura di riforma, da eseguirsi su alberi che, per cause varie, hanno perso il loro portamento naturale, o ai quali si vuol dare una forma particolare per esigenze stilistiche o architettoniche. Questo tipo di potatura, che richiede una buona conoscenza del portamento naturale degli alberi e un’ottima conoscenza della biologia vegetale ha, nei casi più ricorrenti, la funzione di correggere il portamento di un albero sottoposto a potature radicali quali capitozzature o forti ridimensionamenti della chioma: problemi tipici delle alberature stradali ma in rapida diffusione anche nei giardini privati affidati a manutentori improvvisati, dagli effetti devastanti anche se effettuati in perfetta buona fede.
Potatura di risanamento, pratica colturale che rientra, al pari della precedente, nel novero della manutenzione straordinaria. Ha la funzione di rimuovere parti di tronco o rami cariati (soggetti, cioè, a fenomeni degenerativi causati da funghi). In questo ambito rientra pure la dendrochirurgia (anticamente nota col nome di slupatura, per l’olivo) che è un tipo di potatura volta ad isolare il legno cariato da quello sano. Anche qui è richiesta una grande professionalità sia per individuare la necessità d’intervento sia per intervenire con le modalità opportune al fine di non aggravare una già grave situazione. Una buona norma, da un punto di vista operativo, è quella di non intaccare minimamente il legno sano altrimenti si vanno a creare lesioni nella struttura compartimentata di cui si è già detto. Queste lesioni sono potenziali vie di penetrazione per organismi patogeni.

Come effettuare i tagli. Buona norma, in generale, è quella di non tagliare rami di diametro superiore ai 6-10 centimetri al fine di ridurre i possibili danni alla pianta derivanti dalla ferita. Il taglio deve essere netto, non slabbrato o a scale. In caso di rami lunghi o pesanti è bene, al fine di evitare strappi nella corteccia, effettuare un pretaglio nella parte basale del ramo e poi tagliare anteriormente, partendo dall’alto, il suddetto ramo. Nel caso della soppressione di un intero ramo, il ramo in questione non va tagliato a filo tronco, com’è pratica diffusa, bensì occorre lasciare il cercine (il cosiddetto collare) alla base del ramo che è la parte di inserzione del ramo stesso sul tronco. Tale cercine rimane presente in caso di disseccamento naturale del ramo. La sua persistenza aumenta le capacità difensive della pianta da eventuali penetrazioni di patogeni dalla superficie di taglio. Inoltre, è stato provato statisticamente che il numero e l’intensità dei ricacci indesiderati è di gran lunga minore laddove venga rispettato il collare.
Come raccorciare un grosso ramo. Nel caso di raccorciamen-to di un ramo o branca, la potatura dovrà seguire il principio del cosiddetto taglio di ritorno che consiste nel raccorciare un ramo lasciando, al di sotto del taglio, un rametto laterale che sostituisca nelle funzioni la cima asportata. La cima di un ramo esercita infatti funzioni di controllo sulle gemme sottostanti e contribuisce a un accrescimento regolato secondo il codice genetico. L’asportazione della cima provoca la soppressione dei fattori di controllo dello sviluppo vegetativo; col taglio di ritorno si rimpiazza la cima asportata con una “cima di sostituzione” che ne riprende le funzioni di controllo e di regolazione dell’ accrescimento delle gemme sottostanti.
Il diradamento della chioma. Con la soppressione dei rami (tecnicamente definita “diradamento”) si effettua un controllo sulla forma generale della pianta, si eliminano i codominanti, i rami male inseriti, si dà luce alle parti interne della chioma, se troppo fitta, e questo si traduce in un vantaggio nel controllo di malattie fungine ed insetti. Il diradamento permette un corretto alleggerimento localizzato della chioma: dal punto di vista fisiologico i germogli residui hanno minor vigore, ma hanno una biomassa superiore.
11. Portamento naturale di una maestosa zelkova in un parco parigino. Gli interventi del giardiniere devono essere volti, come in questo caso, alla salvaguardia della belezza e della salute dell’albero, conservandone la silhouette in tutto il suo splendore.
12. Tronco di acero negundo intrappolato tra due muri di confine costruiti in epeca successiva alla sua messa a dimora. Risulta chiaro, da questa immagine, il luogo comune che non considera i vegetali come essere viventi in continua crescita ma come elementi inanimati che assolvono a pure funzioni ornamentali.
13 e 14. Corretta esecuzione del taglio di ritorno. Nelle due immagini si vede la fase di taglio e il risultato della corretta operazione, dopo il taglio.

15. Danni da urto di automobile ad un frassino. Notare il vano tentativo di rimarginare la ferita con una legatura di circonstanza. 16. Tronco di cipresso utilizzato come supporto per una portabandiera.
15. Danni da urto di automobile ad un frassino. Notare il vano tentativo di rimarginare la ferita con una legatura di circonstanza.
16. Tronco di cipresso utilizzato come supporto per una portabandiera.
17. Tentativo di difesa del tronco di un giovane tiglio, utilizzando bloccheti di cemento. Le auto, parcheggiando, urtano l’albero e possono provocare gravi lesioni con conseguente crescita stentata.
18. L’olmo potrà risentire gravemente dei danni alle radici causati nel corso delle opere di scavo, eseguite con la ruspa senza pore molta attenzione alla presenza dell’albero sul bordo della strada.
19. Bagolaro (Celtis australis) con apparato radicale danneggiato da un intervento di manutenzione fognaria.
20. Danni sul tronco di un bagolaro prodotti da graffature, perpetuatesi nel tempo, per l’affissione di manifestini. La corteccia presenta fessurazioni attraverso le quali viene favorita la penetrazione di parassiti animali e vegetali.
Il raccorciamento con taglio di ritorno agisce sul contenimento delle dimensioni della chioma ed è basilare per la potatura libera che intenda mantenere inalterata la forma della pianta tenendone contenute le dimensioni (per vincoli di confine, di vicinato, per problemi di stroncamenti da neve, per ridurre l’effetto “vela” della chioma causato da venti dominanti, ecc…).
Il raccorciamento senza taglio di ritorno induce la pianta ad incentivare l’attività vegetativa del germogli interni che, non più controllati dall’apice, danno sfogo al loro accrescimento. In tal modo si determina un infittimento della chioma, esattamente opposto ai criteri che guidano il diradamento. E’ un tipo di taglio adatto alla potatura formale, per ottenere forme topiarie oppure per la creazione di siepi compatte.
Quando potare? Le potature per le piante a foglia caduca, in base all’epoca in cui vengono effettuate, si distinguono in potatura verde e potatura secca. La prima, detta anche invernale, viene eseguita mentre la pianta è in riposo mentre la potatura verde viene eseguita nel periodo primaverile-estivo quando le piante sono in attività vegetativa. Per le sempreverdi si consiglia generalmente di potare dopo il periodo delle gelate primaverili, per evitare di perdere i nuovi germogli a causa degli abbassamenti repentini di temperatura. Per le drupacee, e quindi per i vari Prunus ornamentali, la potatura invernale si accompa-gna ad emissione di gomma, soprattutto se ci si trova in zone caratterizzate da climi freddi e umidi. In questi casi è consiglia-ta la potatura verde, eseguita dopo la fioritura (nei mesi di maggio-giugno).
La protezione dei tagli. I tagli di potatura possono essere protetti mediante mastici, reperibili sul mercato, a base di collanti vinilici che pare siano gli unici, a livello sperimentale, a dare discreti risultati in tema di protezione delle ferite da taglio. A questo riguardo sarà bene chiarire che un mastice non risolve il problema della compartimentazione, ossia della capacità della pianta di isolare il legno soggetto a marciume evitandone la propagazione. Il mastice “aiuta” la pianta nel compito, ma se l’esemplare non è in grado di attuare un’efficace compartimentazione il mastice non sarà di alcun aiuto in quanto nel tempo esaurisce la funzione protettiva, e a meno che non venga ripristinato periodicamente, non è in grado, nel lungo periodo, di proteggere i tagli dalla penetrazione dei patogeni.
Ancoraggi, cavi e tiranti. L’albero, una volta messo a dimora, soprattutto se di una certa dimensione, viene ancorato al terreno mediante pali, tutori e tiranti. In questo modo si integra la funzione di stabilizzazione dell’apparato radicale dopo il trapianto, in attesa che le radici riprendano le normali dimensioni all’interno del terreno. Occorre avere l’avvertenza di non legare l’albero direttamente al palo ma assicurare il fusto al palo mediante legacci plastici morbidi, del tipo usato in viticoltura o mediante elastici in gomma. Infatti perché ci sia una buona lignificazione è bene che il fusto possa oscillare; allo stesso tempo una legatura morbida evita strozzature all’organo vegetale. Altro sistema di ancoraggio è dato da tiranti metallici disposti circolarmente intorno alla pianta (tre tiranti piazzati a 120° l’uno dall’altro). Questi cavi abbracciano il fusto mediante un cappio rivestito con tubo di gomma; vengono assicurati al terreno tramite picchetti in legno o metallo, infissi nel terreno con un’inclinazione, rispetto al piano di campagna, compresa tra i 30 e i 45 gradi. Anche in questo caso i tiranti non devono essere tesi ma lassi, permettendo una certa oscillazione ma evitando il ribaltamento o l’inclinazione della pianta? I tiranti, trascorsi 2-3 anni dall’impianto, vanno rimossi.
Uso degli alberi quali strutture portanti o di sostegno. Uno degli indicatori sociali dell’attenzione per la natura, e per il prossimo in generale, è rappresentato dal comportamento di molte persone nei confronti del verde pubblico. E’ scoraggiante, a tal proposito, osservare che gli alberi “di tutti” (che in Italia equivale a dire “di nessuno”) vengano spesso e volentieri utilizzati nei modi più disparati senza tener conto della salute degli alberi stessi.
Ci è così capitato di osservare a Livorno i tetti delle baracche del mercatino americano appoggiate sui platani: queste tettoie in lamiera stanno danneggiando il normale accrescimento delle piante.
Altro esempio emblematico di una situazione generalizzata lo abbiamo osservato all’Isola Madre, sul lago Maggiore. Per la tettoia metallica di un bar del luogo non si è pensato di adattare le strutture portanti ai tigli della piazzetta, bensì il contrario: sono stati adattati i vecchi tigli. Ecco quindi che, per non variare il dimensionamento dei tralicci metallici della struttura, alcuni tronchi sono stati opportunamente massacrati. E ciò nell’ambito di un parco storico che vanta una delle collezioni botaniche più pregiate d’Europa!
In altri casi abbiamo osservato l’uso di grosse branche o tronchi utilizzati quali strutture portanti per ricoveri, garages e simili, nell’assoluta certezza che un albero sopporta tutto. Vi sono esempi in cui la buona fede, legata al tentativo di salvare capra e cavoli, ha costretto alberi di una certa imponenza tra muri di recinzione che sono stati addossati alla corteccia, causando nel lungo termine una grave strozzatura del tronco. In questo, come in altri casi, è un problema di lungimiranza: molti grandi alberi crescono lentamente, e il danno che commettiamo lo lasciamo in eredità ai nipoti!
Altra consuetudine diffusa è quella di utilizzare i tronchi per appendere o esporre qualsiasi genere di cose: dai cartelli pubblicitari che reclamizzano orchestre paesane ai manifestini per le ricorrenze di feste nazionali (25 aprile, 4 novembre…). Per gli alberi dei giardini gli usi più ricorrenti sono quelli di portachiavi previa infissione di un grande chiodo, supporto per amache, per catene atte ad impedire l’accesso ai passi carrai, per nidi artificiali inchiodati al tronco. E’ ovvio che un piccolo chiodo in un grande albero non provoca danni rilevanti, ma se il chiodo è grosso e l’albero piccolo oppure se i chiodi vengono infissi ad intervalli periodici, e reiteratamente, il tutto si può tradurre in un danno. Infatti le continue ferite sono potenziale ricetto di funghi xilofagi. Questi potrebbero avviare alterazioni a carico della cellulosa o della lignina del legno interno, con possibilità di provocare estesi marciumi.
I danni alle radici. Potature, tagli, ferite e scortecciamenti praticati al fusto o ai rami sono facilmente individuabili; di ben più difficile determinazione sono i danni all’ apparato radicale, il quale viene troppo spesso trascurato. Le radici in una pianta assolvono a due funzioni primarie: sostegno dell’individuo e assorbimento di elementi nutritivi ed acqua. Se vengono danneggiate grosse radici, l’albero può perdere la sua stabilità e nel corso di alcuni anni può persino crollare. Il danneggiamento di grosse radici determina anche un insufficiente approvvigionamento nutrizionale, con crescite stentate e disseccamenti settoriali della chioma. I danni più consistenti agli apparati radicali derivano dagli scavi a ridosso delle piante, per l’interramento di tubi, condutture e impianti elettrici, fogne: problemi tipici delle alberature stradali, ma non ne sono esenti nemmeno i giardini privati. Dovendo interrare qualcosa sarà bene scegliere preventivamente il percorso e valutare la necessità di passare lontano dalle piante per non danneggiare, almeno, le grosse radici. Ciò comporta, di solito, un aumento della lunghezza dello scavo e quindi un maggior costo esecutivo, tuttavia il vantaggio di questa operazione si manifesta nel tempo con piante sane e vigorose. Un’altra fonte di guai per gli apparati radicali è rappresentata dai riporti di terreno. In caso di risistemazioni di giardini e vialetti, spesso il piano di campagna viene alzato con riporti di terreno. Il riporto di terra spesso crea condizioni asfittiche per gli strati superficiali in cui sono localizzate le radici e, in prossimità del colletto, favorisce i marciumi basali. Quindi è buona norma evitare accuratamente riporti di terra che possono, alla lunga, causare danni irreparabili agli alberi.
Pericoloso è anche il compattamento eccessivo del terreno derivante soprattutto dal calpestio prodotto da automobili; in tal modo l’aria e l’acqua circolano meno liberamente in prossimità delle radici superficiali o, in certi casi, non circolano affatto, rendendo difficile la vita dell’albero.
Danni da urti. Un danno spesso ignorato è quello derivante da urti causati dai mezzi meccanici (automobili, falciatrici, trattori, ruspe o simili), con ferite più o meno superficiali e più o meno estese, localizzate nella zona basale del tronco. Ciò, soprattutto in piante giovani, può generare un rallentamento della crescita e l’avvento di marciumi. E’ un danno frequente nelle alberature stradali ma può interessare anche alberi collocati in parcheggi e giardini privati, soprattutto quando lo sfalcio viene affidato a manutentori dotati di falciatrice semovente o di trattore con barra falciante. La fretta con cui si vuole eseguire l’operazione al fine di rispettare i preventivi concordati, o la distrazione, giocano brutti scherzi dei quali sono vittime le piante. Infatti è piuttosto frequente la strisciata a filo tronco che ne determina lo scortecciamento e il danneggiamento. Per evitare questi danni si possono porre intorno al fusto, ad una certa distanza, dei robusti paletti in legno, alti quel tanto necessario ad arrestare il mezzo meccanico. L’erba intorno al fusto potrà essere tagliata con le forbici per erba o con il falcetto.
